venerdì 15 giugno 2007

Dis-integrazione

Sono tantissimi. Stipati sul ristretto marciapiede di via Cernaia in una coda lunga decine di metri. Di tutte le età e di tutte le razze: volti dalle carnagioni pallide dell’est europeo e extraeuropeo, marcate fisionomie dell' Africa cosiddetta nera e dell’Africa araba, indiani, thailandesi, filippini, curdi… Tutti in coda per chiedere e ottenere il diritto di risiedere in Italia, di lavorarci, di diventarne, magari, cittadini. Per ora, tuttavia, extracomunitari. Sanspapiers, ovvero versione globalizzata di quella che un tempo si chiamava carne da macello.
Sono perplesso. Capisco che a spingerli, a sostenerli nelle lunghissime e scomodissime ore dell’attesa, è il bisogno di sopravvivenza, una ricerca primaria – che rispetto – di far valere il diritto naturale alla libertà dal bisogno. Mi domando però se questa gente – persino commovente nell’espressione di ansia e inquietudine che le si legge in viso – sia cosciente della natura del paese al quale sta chiedendo ospitalità.
Una sedicente democrazia rappresentativa degenerata al punto che la sua classe politica, arroccata nei suoi privilegi di casta, ormai rappresenta solo se stessa: i suoi costosissimi apparati clientelari, i suoi abusi, i suoi reati, i suoi soprusi legalizzati, i suoi terrificanti baratri culturali, la sua sconfinata arroganza.
Un paese che sta letteralmente affondando nei rifiuti perché una politica velleitaria, contraddittoria, parolaia e clientelare non ha saputo predisporre un sistema di smaltimento razionale e efficiente. E nel frattempo la plebaglia incendia i cassonetti e assalta i funzionari del governo con la stessa logica con cui, nel marasma del crollo napoleonico, il popolaccio milanese ammazzò il ministro Prina perché aveva voglia di sfogarsi un po’(1814).
Un territorio sempre più cementificato, saccheggiato, lottizzato, palazzinato, usurpato, svillaneggiato. Parlamentari, abusivamente detti onorevoli, che assaltano i banchi del governo al grido, sublime e patriottico, di “Fuori dalle balle”; e berciano, schiamazzano, turpiloquiano: versione scaduta a livello di truce goliardia della famosa invettiva mussoliniana “di quest’aula sorda e grigia” ecc.
Città asfissiate dalla peste motoria.
Ospedali per i quali si è dovuto inventare il termine malasanità, che a volte appare persino inadeguato per difetto.
Treni sempre più fatiscenti dove è quasi impossibile utilizzare i servizi igienici perché sudici, privi d’acqua, sgangherati, puzzolenti.
Una scuola che, di riforma in riforma, è riuscita a diventare la fabbrica dei diplomati più dequalificati d’Europa.
Una televisione che quando rileva gli ascolti oceanici dei programmi di successo spalanca la porta su un panorama di milioni di cervelli desertificati.
Un paese che ha pomposamente chiamato Risorgimento una serie di guerricciole coloniali . Un paese che - dopo le inondazioni della retorica laicista ora peraltro un po’ afasica – riscopre il clericalismo più ottuso e più superstizioso come nuova frontiera dell’uomo moderno e modello, per compiacere un papa culturalmente e spiritualmente molto attardato, ma temporalmente molto agguerrito.
Un paese che rilegge e rivisita continuamente Totò scambiandolo per Charlie Chaplin, Franco e Ciccio confondendoli con Buster e Keaton, ma si dimentica con proterva disinvoltura di Ennio Flaiano e di Leonardo Sciascia.

Un paese…e faccio continuare Alberto Arbasino, uno dei nostri rarissimi (grandi) scrittori civili:

Un Paese senza memoria
Un Paese senza storia
Un Paese senza passato
Un Paese senza esperienza
Un Paese senza grandezza
Un Paese senza dignità
Un Paese senza realtà
Un Paese senza motivazioni
Un Paese senza programmi
Un Paese senza progetti
Un Paese senza testa
Un Paese senza gambe
Un Paese senza conoscenze
Un Paese senza senso
Un Paese senza sapere
Un Paese senza sapersi vedere
Un Paese senza guardarsi
Un Paese senza capirsi

Un Paese senza avvenire?


Ma loro, i postulanti extracomunitari sono lì. Resistono. Estenuati, assonnati, angosciati, tenuti in piedi dalla speranza di essere accolti da questo "Paese senza" dove, per caso o per scelta, da qualche carretta del mare o da qualche convoglio negriero, sono sbarcati con un patetico bagaglio di miti e sogni destinati ben presto a finire negli immondezzai delle illusioni perdute.
Purtroppo il percorso inverso non è previsto. Uno sportello per farsi dichiarare extracomunitario, immigrato clandestino e magari anche apolide non c’è. Ed è un peccato perché a questo sportello io mi metterei subito in coda, orgogliosamente consapevole di avere tutti i documenti in regola.

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